Lucia e Giovanni, i miei nonni paterni di Comasine

Zanon Lucia (1869-1906)«[...] Ricevete pure mille baci dai nostri 3 farabutti, che mentre scrivo mi levano i sentimenti; sono sani ed allegri, mangiano, bevono e si divertono, non si fermano un momento, presto ribaltano la casa [...]. Ricevete infine un abbraccio di cuore dalla sempre vostra fedele sposa.» [1] Così Lucia Zanon (1869 - 1906) termina una lettera inviata nel 1902 al marito Giovanni emigrato in Argentina presso Porto Stanley (Isole Malvine / Falkland) a lavorare come falegname-mobiliere.

Giovanni Sonna (1854-1921)Prima di partire, Giovanni Sonna (1854-1921) aveva preso in affitto e poi comperato mezza casa nr. 3, situata vicino alla chiesa di Comasine, [2] dai fratelli Tonazzi Bortolo e Domenico che si erano trasferiti a Minerbe in provincia di Verona. Il buon guadagno nelle Isole Malvine, necessario per pagare il debito della casa ed altri impegni assunti, comportava però dei grossi sacrifici. Nel luglio 1902 mandò a Minerbe 1250 franchi/oro, 125 da far avere alla moglie Lucia e il resto per il debito della casa.

«Domenico è stato in Tirolo a far la cura delle acque di Peio e per sentire le novità di quei Paesi, perché abbiamo sempre in mente la patria nativa [...]. - è Bortolo Tonazzi che scrive a Giovanni. In quell'occasione, suo fratello Domenico Tonazzi aveva portato il denaro a Lucia. «Stan tutti bene, è una bella stagione, sempre caldo e il bestiame caro a prezzi esuberanti, qui da noi (a Minerbe) lo stesso, stagione buona e grande caldo, raccolti onesti. Letta la tua, ho inteso del freddo indiavolato come se fossi in Siberia, dove che noi si credeva che fosse una posizione più fertile, invece ci si ingannava. Coraggio... Riguardo a mandarti dei giornali, ho fatto ricerche alle Regie Poste e mi si dice che non garantiscono la destinazione (Isole Malvine), ma per favorirti proverò a spedirteli. Allora non mi sta che augurarti una buona salute, di poterti guadagnare una quantità di sterline per poi non tornare più e mai più in quei deserti di giara e rimanere con la tua metà e i figli che di cuore ti abbracciano. Addio.»

Il 1902 sembra essere stato veramente un anno buono per coloro che avevano bestiame da vendere. «Nella fiera di S. Simone vendei la vacca ciara e mi han dato fiorini 100, - è sempre Lucia che scrive informando il marito anche sugli andamenti dell'economia domestica - ma per rimettere un altro caf di bestiame nella stalla, cioè una bella vitella grande come una manzetta, ho dovuto spendere ancora 60 fiorini. Quest'anno chi ha bestie ha denaro. Sono cari all'eccesso, ce ne resta ancora due vacche che han già fatto tutte e due e questa vitella che fa tre, più un vitellino a latte e uno l'ho venduto per fiorini 16 e mezzo [...]. Già lo vedete che per mancanza di fieno non possiamo mai metterci dentro un capo o due di bestiame per vendere, e vi faccio saper che la Giuseppa è disposta di vendere il suo prato all'Asnaga, contiguo le Roìne, tutto unito. Io vi consiglierei di prenderlo, non so poi quale importo vorrà, ma vedete, quello in fondo è un bel pezzo di prato da poterlo acquare coll'acqua del Nos, e la costa se non volete metterla in coltura vi si può impiantare larici. Nella prima vostra, dopo ricevuta questa, mi direte qualcosa in proposito.»

Giovanni era partito la prima volta per l'America nel 1887, aveva 33 anni. Nei suoi notes di lavoro, numerosi sono i nomi di persone di Comasine e della Valle che ha incontrato e conosciuto in Argentina [3] e nei suoi viaggi. Rientrò la prima volta a Comasine nel 1895 dopo aver lavorato in più posti, anche in Terra del Fuoco a Punta Arenas (Cile).

In questi estremi territori, oltre al lavoro presso il Collegio San Josè dei salesiani, c'era il forte richiamo della ricerca dell'oro. Il 22 agosto 1892 viene regolarmente costituita a questo scopo la Compagnia "del Botte Balandra col nome Maria e nr. 55 di matricola" composta da Giovanni e altre 5 persone tra le quali un Daldoss Clemente.

Interessante è pure l'esperienza di Giovanni come fotografo anche se sappiamo poco di preciso. Nel gennaio 1891, sborsando 300 Pesos entra come socio comperando la terza parte dell'atelier di Stanchina Giuseppe e di Collabianchi Elia sito in Calle Cordova n. 1645 a Buenos Aires e un altro sito in Calle Belgrano proprietà della società Tutelar. In seguito il Collabianchi si ritira e i due soci lasciano anche la Tutelar. Acquista 6 obiettivi per ferotipia, una camera da ripresa, un treppiede, ecc. Dalle note non si sa altro. Si può solamente ammirare l'intuito di Giovanni in questo campo, oltre un secolo fa. Sono ancora in possesso di un suo “Manuale di Fotografia” stampato a Trieste nel 1864.

Interessanti sono gli appunti di Giovanni riguardanti i suoi numerosi campi d'interesse. Dalle varie formule per il trattamento delle lastre fotografiche (non c'erano i prodotti pronti, bisognava prepararli), per le paste utili per smerigliare o decorare i vetri o la porcellana, ai vari manuali dell'editore U. Hoepli di Milano di cui ne conservo ancora alcuni nella biblioteca di famiglia.

A Comasine, nel 1895 chiese ed ottenne la licenza di osteria e nel 1896 la licenza di bottega/negozio. Naturalmente non tralascia il suo vero lavoro di falegname/mobiliere, capace di costruire tutti gli attrezzi agricoli, mobili [4] e serramenti per la casa e carri per la campagna. Costruì pure in massiccio legno di larice tutte le "lavandare" delle fontane, alimentate dal nuovo acquedotto comunale terminato in quegli anni.

Nel 1897 sposa Lucia e nascono Eleonora, Pia e Leone, "i tre farabutti" che già conosciamo.
Certamente il guadagno doveva essere non adeguato alle aspettative se nel 1900 decise di ritornare in America. Partì da Comasine alle ore 1 dopo pranzo del 21 dicembre 1900 con in tasca 19 marenghi e 32.50 fiorini. Lascia una nota dei debiti ammontanti a fiorini 880.74 e una nota di crediti da riscuotere di fiorini 231.31. [5] (Da notare che 450 fiorini erano per l'acquisto della casa di cui abbiamo parlato sopra).

A Parigi, numerosi sono gli emigrati da Comasine e fra questi lavora anche il fratello di Giovanni, Stefano [6] di qualche anno più giovane. Giovanni sembra indeciso se fermarsi a Parigi o ritornare in America. Così scrive alla moglie alcuni giorni dopo il suo arrivo, il 5 gennaio 1901: «mi sarei anche fermato qua a Parigi, ma i lavori non marciano tanto e poi non mi conviene, perché vedo che qua bisogna spendere se si vuol aver lavoro e star in compagnia, del resto si può far quello che si vuole ma sempre malvisti».

« [...] finalmente ieri prendei l'imbarco da Le Havre a Buenos Aires - continua Giovanni - e la partenza sarà da Parigi il 9 e da Le Havre il 10. Prima non ho potuto partire, perché vi era solo un vapore di 1a e 2a classe e non mi conveniva [...].

Credilo, cara Lucia, ti ho abbandonata, è vero, però hai insieme tre creature sane che sarà la tua compagnia, ma io son solo e in paesi stranieri. Quando vedo dei piccoli mi viene le lagrime e non posso nemeno carezzarli. Ti raccomando di tenerli bene che un giorno sarà il nostro aiuto. Speriamo ti arriverà una cassetta, vi sarà dentro qualche cosa per le piccole. La cugnata e il fratello che le manda, quando l'avrai ricevuta le scriverai subito, la direzione la sai. Quando riceverai questa scrivi subito in America del Sut alla direzione del Tonazzi che sai.»

Da Parigi/Le Havre a Buenos Aires spese franchi 139.10 e arrivò a Buenos Aires il giorno 8 Febbraio 1901.[7] Il 22 febbraio iniziò a lavorare all'Istituto Pio IX de "Arte e Officio" in Buenos Aires dai padri Salesiani. Ma l'8 giugno parte per Punta Arenas col vapore Liguria e vi arriva il 18 giugno 1901. Verso dicembre si porta alle Isole Malvine e vi rimane fino ad aprile del 1903.

Di tanto in tanto riusciva a mandare a casa qualcosa, ma è Lucia che si deve far carico dei debiti e scrive: « [...] per supplire agli interessi di famiglia faccio conto di averne abbastanza, ma in riguardo al Daprà come fare? Finora non mi ha più scritto niente e se anche li volesse, io di certo non so dove prenderli. Cercai nelle carte ma non fui capace di trovare detta lettera che specifica il suo conto preciso. Lo saprete voi dove le avete messe. [...] Denaro in famiglia ce ne vuol tutti i giorni, - continua Lucia - mi resta di andare avanti, il resto ho tutto pagato: affitto ai Micatti, alla vedova Matteotti [8], steore [9], casatico, ferature, quinternetto comunale, pagato la serva oltre a regalìe... per tutto ci vuol soldi. Debiti non ne ho fatti fino ad ora, ho tutto pagato, ma dove che vanziamo noi non si prendono tante premure. Quelli del defunto Xxxx gli abbiamo belli e che visti... per quanto prevedo non ci resta che fare una x (croce). Dal Xxxx l'importo è di fiorini 8, si trova squilibrato, debiti da per tutto. Chissà quando gli acquisteremo dal Xxxxxx, non mi ha dato ancora nulla e come si fa? Per quanta economia si adoperi, il necessario ci vuole ed i bambini non ne vogliono sapere che non ce n'è (volio pan, volio formai) ed il resto in seguito, e non sarebbe neanche il nostro tornaconto allevarli colla miseria e poi prendere servitù.»

Giovanni con in tasca 86 sterline e 17 scellini, il 3 maggio 1903 è a Montevideo, il 4 a Buenos Aires e il 12 si imbarca per Genova per ritornare a Comasine. Appena arrivato in valle, Giovanni va a trovare i parenti di qui per consegnare quanto ricevuto dai loro cari in Argentina. «9 giugno 1903 - consegnato alle sorelle Slanzi Giacoma e Melania l'importo di lire sterline 3 e franchi 5 meno 40 soldi, equivale a fiorini 37.60 e questo dell'importo consegnatomi da suo fratello Domenico Slanzi in America da consegnare alle sorelle se ancora nubili altrimenti al fratello Pietro [...] ».

Nel 1904, a Giovanni e Lucia nasce il quarto figlio, Remo, mio padre. Difficile comprenderne i motivi, ma a novembre 1904 Giovanni riparte per la terza volta per l'America lasciando a Comasine la sposa Lucia con quattro figli e in attesa del quinto che nascerà il 28 giugno 1905.

E' del 1906 l'ultima lettera che Lucia scrive a Giovanni che in quel periodo si trova a Punta Arenas in Terra del Fuoco.

«Mio indimenticabile Giovanni. Direte di colpo: si è tirata a casa. Sì, mio caro, con una bronchite di tal genere [...] e qua il medico diceva sempre "febre no ghe n'è..." [...] invece là nell'ospitale (Rovereto) misurano la febbre col termometro sera e mattina, io alla mattina non ne avevo mai ed alla sera 38, 38 e 9 e perfino 39 e 3 gradi di febbre.[10] Una sera il medico dà un'occhiata alla nota che fa la suora e di colpo si volta e dice "ci veniva anche quando era a casa questa febbre?" Certo signor medico. Fece un gesto di scherno dicendo: "e non accorgersi?" Restai lì sette settimane e poi dimandai al medico se poteva farmi l'altra operazione. Mi visitò e dice che i polmoni non sono del tutto purgati e l'operazione non la può fare perché ho sempre la febbre. Mi applicò un anello e mi dice che non soffro nulla. Mi dice se volevo andare ed io altro che contenta [...]»

Lucia morì a soli 37 anni una settimana dopo aver scritto queste righe. Certamente ci furono degli strapazzi e delle preoccupazioni. Forse anche la nascita del figlio Vigilio, vissuto solo sei mesi e morto a fine dicembre 1905 contribuì a debilitare un organismo normalmente robusto e pieno di vitalità. Nei suoi precedenti scritti abbiamo sentito della preoccupazione di non avere abbastanza fieno per il bestiame durante l'inverno. Quell'anno per ovviare a questa necessità si era aggiudicata il taglio delle ortiche che crescevano nelle adiacenze della malga bassa [11]. Qualcuno ha raccontato che il suo vero male fu l'avvelenamento dovuto a questo fatto.

Ma così Lucia racconta il suo ritorno dall'ospedale « [...] Arrivai alle Fucine, fiocava come Dio la mandava e dei nostri non trovai nessuno. Mi fermai un pezzo e poi quasi mi volevo decidere di inviarmi su da sola quando comparisce la Celesta [12] ed il Ravelli e mi dissero che c'erano altri tre o quattro uomini che erano andati alla farmacia o a fare provviste. Quando fummo uniti, io ansiosa di arrivare a casa, ma non fu possibile. La neve sotto i piedi mi soffocava ed hanno dovuto trascinarmi fino al Forno e son stata là la notte ed il giorno dopo vennero con la lisola [13] a prendermi. Una bella scena: arrivo io dall'ospitale e ne trovo un altro a casa. La Eleonora (8 anni) irriconoscibile, occhi e faccia tutto gruse e brufei e la Pia (7 anni) fa una bocca come una tromba, tutto gruse. Da una parte mi avvilìi, e bisognava, io che ne ho più di loro! Basta. Speriamo in bene, la speranza è sempre l'ultima che muore.»

Lucia, pur trovandosi in quelle condizioni, vuol mettere al corrente il marito anche degli affari di casa «In riguardo ai nostri affari, io per serva tengo qui la mia sorella Celesta, costi quel che vuole, presta assistenza e gli sta bene qualunque mestiere. Mio fratello (Giulio) vuol essere solo. La Filomena (altra sorella più giovane) è andata in servizio già fino dallo scorso autunno a Bergamo coi padroni dove mi trovavo io [...]. Non avrete ragione di lamentarvi se in queste condizioni mi ci vuol denaro senza misericordia. Il piccolo Remo ha due anni e più e fa compassione a vederlo, non sta nemmeno attaccato a una sedia. Farò il possibile per me e per i bambini. Pregate per noi. Addio. La vostra Lucia.»

Purtroppo non sono riuscito a rintracciare alcun appunto di Giovanni se non la scritta "ultima carta della mia povera Lucia" sulla busta arrivata a Punta Arenas più di un mese dopo la morte di Lucia ( la lettera spedita il 31 marzo 1906 (timbro di Fucine) arriva a Punta Arenas il 13 maggio 1906, questo il tempo impiegato dalle lettere per giungere a destinazione).

Altro lutto in casa si verificò poco dopo. Il 26 aprile morì Margherita [14] di 56 anni. Altro lutto a novembre. Morì Domenico di 58 anni. In neppure 12 mesi, Giovanni perse un figlio, la moglie, un fratello e una sorella, tutti nella stessa casa. Sistemati i suoi affari in America, Giovanni partì da Punta Arenas col vapore Oronsa il 12 febbraio 1907 per il ritorno definitivo a Comasine dove ritrovò i suoi figli e sposò Celesta, la sorella di Lucia.

Giovanni Sonna morì nel 1921 a 67 anni; Lucia, nata Zanon, morì nel 1906 a 37 anni e Celesta nel 1938 a 68 anni.

[1]  Tutto ciò che è riportato fra « » corrisponde fedelmente agli originali in mio possesso. Ho cercato di ridurre al massimo i commenti personali perché ritengo che i nostri lettori sapranno valutare questi documenti nel loro vero e profondo significato e ravvisare in essi quella carica di semplicità e nello stesso tempo di alta umanità che li pervadono.
[2]  Generalmente la numerazione dei piccoli paesi avveniva "a ruota". Si iniziava dalla canonica col numero 1.
[3]  Gionta Stefano (dei Meneghétti, zio di Lucia) e moglie Montini Anna - Gionta Angelo (Pinàcoi) - Pedergnana Giuseppe (Zôdi) - Tonazzi Graziano (fratello di Bortolo e di Domenico di Minerbe) e moglie Destefani Romana (un loro figlio 14enne venne ucciso da una fucilata vagante mentre con Giovanni si erano nascosti dietro un portone durante una sommossa popolare) - Sonna Cesare (Vecétti) - Garbatelli D. - Destefani Giovanni - Slanzi Domenico di Cortina - Carolli Giovanni - Gabrielli Maria - Daldoss Clemente - Benvenuti Giorgio - Matarei Fernando - Dell'Eva Ambrogio - Paltrinieri Augusto - Benvenuti Felice (S.Bernardo - Arg.)- Moreschini (S.Paolo) - Tomaselli Ambrogio (Buenos Aires) - Bezzi Giovanni - Focher - Montelli Stefano e moglie (Mendoza) - Martinolli Virginia - Stocchetti Beniamino - Bezzi Angelo (Parigi) - Girardi fratelli da Malè (Calle Tucuman, 1695) - Daprà Manuele (Parigi ?) - Andreis Simone da Malè (Brasil 663) - Galina detto Galinot del Pònt da Pellizzano - Tevini Giulio (Argentina) - Grandi Antonio e Oreste da Tuenno - Fedrizzi Teresa da Croviana - Ceschini Giuseppe da Stenico - Dell'Eva Angela (Brasile) - Berti Pangrazio - ...
[4]  Si possono ancora vedere i suoi schizzi/disegni di mobili e decorazioni varie.
[5]  Abbiamo anche una nota dettagliata del viaggio: bagaglio Comasine-Malè - cena a Malè: - posta Malè Mezzolombardo - barba, mangiativa, sigari. Il 22/12 alle ore 9 e mezza di sera S. Michele/Innsbruck: fior. 3.14. - Il 23/12, ore 5 a Innsbruck, vitto, spese, bibite, sigari... ore 9 1/2 Innsbruck/Zurich/Basel: fior. 7.92. Arrivo a Basilea alle ore 1, partenza ore 2 1/2, vitto sigari, cambio... Basilea/Parigi fior. 12.25. Il 24/12 arrivo alle ore 5 di mattina a Parigi.
[6]  Nato nel 1859, negli anni '20 fu ricercato anche dal nipote Leone, ma di lui e della sua famiglia non si seppe più nulla.
[7]  Giovanni annota che una Lira Sterlina equivale a 11,50 Pesos, un Marengo equivale a 9.60 fiorini (9,56 nel 1900, saranno 9,50 nel 1906), un fiorino equivale a due corone e il cambio dell'oro è a 231,20!
[8]  Elisabetta Garzarolo, di Fratta Polesine, rimase vedova di Girolamo Stefano Matteotti nel 1902. Sono i genitori di Giacomo Matteotti (1885+1924).
Girolamo, secondo cugino di Lucia, era nato a Comasine il I° ottobre 1839.
[9]  Tasse - imposte (ted. steuer).
[10]  Come detto nella prima parte, il corsivo corrisponde fedelmente agli originali in mio possesso.
[11]  Ogni anno venivano messe all'incanto e così pure il letame che d'inverno veniva trascinato con le slitte a mano fin nei campi coltivati a segale, orzo, frumento, lino, patate...
[12]  Sorella di Lucia più giovane di tre anni. In seguito fece da mamma ai quattro figli di Lucia. Sposata da Giovanni, nacquero Celestino e Lucia. Lavorava al telaio e fu una delle ultime tessitrice del paese. Morì nel 1938.
[13]  Slitta trainata da una o due mucche e generalmente usata per trasportare il letame. Era il mezzo più adatto in questi casi.
[14]  Margherita e Domenico, fratelli di Giovanni, abitavano con Lucia e davano un aiuto nella stalla e in campagna.