Le antiche Miniere di Ferro a Comasine

Lo sviluppo economico e sociale di buona parte dell’alta Val di Sole, soprattutto nei secoli XIV e seguenti, lo si deve in misura non indifferente all’attività di estrazione mineraria e alla connessa lavorazione del ferro (magnetite).

La documentazione e le testimonianze storiche ufficiali che riguardano questa importante attività sono tuttavia modeste. G. Ciccolini nel suo libro “Immigrati lombardi in Val di Sole nei secoli XIV, XV, XVI. - Contributo alla storia delle miniere solandre” (1936) sostiene che si potrebbe far risalire sino ai tempi di Carlo Magno (primi decenni del secolo IX).

Le tracce del passato storico si possono comunque provare a ricostruire cercando di dare un senso logico a realtà ben note e conosciute esistenti sul territorio, recuperando ricordi e testimonianze preziose anche da chi ci ha preceduto. Nel mio caso molte informazioni le ho reperite dagli scritti e dagli appunti meticolosi raccolti da mio padre Sonna Remo, di cui ho curato la pubblicazione nel libro "Comàsine in Val di Peio" scritto da Remo Sonna (edito e pubblicato a cura di Romano Sonna, I ed. 2002 - II ed. 2006).

Sono numerosi i siti sulla montagna di Comasine che rivelano uno scavo di antica data. Spesso si incontrano “buche” anomale nel terreno che possono denotare sia uno scavo superficiale sia il cedimento di un’antica galleria. Numerose sono anche le sottostanti sporgenze che indicano lo scarico del materiale non utilizzato.

Il territorio di Comasine interessato dall’estrazione del minerale di ferro si trova sui due versanti della valle che scende dal monte Boài. Per localizzarla meglio, guardando la Chiesa di Santa Lucia dallo stradone principale, la zona delle miniere è la valle del rio che scende a destra della chiesetta dedicata alla santa patrona dei minatori.

Cogolo

In un primo tempo il materiale estratto dalle miniere di Comasine veniva condotto a Cogolo. Lo dimostra con evidenza il tracciato che da Cogolo risale fino alla zona di maggiore estrazione sotto il Boài. La pendenza quasi sempre regolare dei circa 3 Km di percorso è del 30% circa o poco superiore, pendenza adatta a trascinare a mano con slitte di legno il pesante materiale. Questo tracciato orientato in discesa da sud a nord e tutt’oggi percorribile e per identificarne l'ultimo tratto si usa ancora il toponimo “Via delle Ferrére”.

Forno di Novale

Non ci è dato sapere perché il lavoro di fusione si sia poi spostato circa 4 Km più a valle, sempre vicino al fiume Noce, nella località tuttora denominata il “Forno” o “Fôren de Novàl”. Tra le varie cause del declino del lavoro di fusione a Cogolo si può ragionevolmente ipotizzare la scarsità di legna vicina da utilizzare per la fusione e probabilmente anche la notevole innovazione della costruzione al “Fôren” di un vero altoforno situato all’interno di un edificio attrezzato a fonderia.

L’altoforno, purtroppo demolito intorno al 1954 da coloro che avevano acquistato il vecchio edificio per trasformarlo e riutilizzarlo per altri scopi, originariamente aveva la tipica forma a “fiasco” con base allungata. Era alto circa 6-7 metri e la massima ampiezza interna era di circa 3 metri. Veniva alimentato dall’alto tramite un ponte in legno proveniente dall’edificio più a monte che serviva da deposito sia del minerale sia del carbone necessario per la sua fusione.

Sotto la strada, vicino all’allora struttura dell’altoforno, esistono tutt’ora due grosse pietre che sostenevano un pesante maglio, congegno necessario per ottenere lunghe sbarre di ferro subito dopo la fusione dello stesso. Si intravede anche la traccia della “rôggia” o canale percorso dall'acqua prelevata dal Noce, come forza motrice atta a questo scopo.

Il ferro scavato nelle miniere di Comasine veniva trascinato al “Fôren” tramite slitte a mano su un percorso simile a quello precedentemente utilizzato per Cogolo anche se un po’ più ripido. Lungo anch’esso circa 3 Km, orientato in discesa da ovest a est, il sentiero detto “Strusa” in certi punti è ora irriconoscibile, però se si è pratici del bosco lo si può facilmente individuare in tutta la sua estensione.

Il carbone veniva prodotto invece nei boschi di tutto il territorio. Numerosissime sono ancora le “ajàl” che servivano a tale scopo. Basta rimuovere un po’ la terra in superficie e subito appare la terra nera indicante l’utilizzo di dette piazzole artificiali.

Fucine

La notevole attività legata all’estrazione del ferro richiamò in valle numerose persone, soprattutto dalle vicine valli lombarde. Quasi tutti i paesi dell’alta Val di Sole, direttamente o indirettamente, trassero grande beneficio da questa industria. Come riferisce G. Ciccolini nel suo “Inventari e Regesti degli Archivi Parrocchiali della Val di Sole - Volume primo: La Pieve di Ossana” (1936), nei secoli XIV - XV e XVI nella zona attorno a Fucine si stabilirono ben 122 famiglie lombarde.

Nel 1463 si parla già della Villa nova Fucinarum, certamente centro privilegiato della lavorazione del ferro per l’abbondante forza motrice prodotta dalle acque della Vermigliana. Nel 1584 vi sono documenti che attestano la costituzione della “Compagnia della Ferrarezza” dedita al commercio ed alla lavorazione del ferro.

Famiglia Matteotti

L’estrazione del minerale nel corso del XVII sec. ebbe alti e bassi, con periodi più o meno floridi e con frequenti cambi di “concessionari”. Il 10 giugno 1772, la Famiglia Matteotti ed eredi ricevette la concessione d’usufrutto di “unam mineram ferream” nelle località Gardané (Garzané, Gardené), Boài, Vasi, Bandalôrsi e Staviôn direttamente dal principe vescovo di Trento. A coloro che ricevevano l’investitura era concesso il permesso di “fregiare le proprie case e ferriere dello stemma del principato, di portar armi, tagliar legna e far carbone”.

Le miniere di Comasine nel XIX sec.

Secondo le informazioni riportate da G. Ciccolini e A. Perini, in alta Val di Sole si estraeva ancora ferro nella prima metà dell'ottocento, quando alle dipendenze della ditta Pietro Antonio Ferrari di Sacco (Vallagarina) "alle Fucine un forno dava occupazione a 200 operai, mentre altri 70 trovavano lavoro nell'attigua Ossana".

In seguito alla ristrutturazione dell'edificio un tempo adibito all'altoforno di Novale è stata ritrovata una pietra evidentemente sagomata come chiave di volta di un arco con incisa la scritta "F.F.F. 1847" che potrebbe leggersi come "Ferrari Facere Fecit 1847" a testimonianza delle "molte migliorie e ampliamenti" apportati dalla "Ditta Ferrari" come viene definita in una nota apportata dal "I. R. Giud. Distrettuale di Malé" su una multa di fiorini 2 inviata il 2 agosto 1847 al Comune di Comasine "per non essersi prestato alla riattazione della strada comunale presso il Forno della Ditta Ferrari" - Documento trovato da Sonna Romano nel luglio del 2001 fra le carte custodite nella canonica di Comasine, consultate per gentile autorizzazione dell'allora Parroco Don Donato Vanzetta.

I lavori di scavo durarono fino al 1857; il Ciccolini riferisce che "l’anno dopo un incendio distrusse la «cantoniera del forno» (lo stabile a monte, deposito di minerale e di carbone) e gli ultimi resti di minerale furono condotti a le Fucine per il lavaggio e la fusione. Nelle officine l'attività cessò con l’esaurimento di quest’ultimo ferro greggio disponibile".

Le miniere di Comasine nel XX sec.

Per la ripresa delle attività minerarie nel corso del '900, le informazioni e le annotazioni riguardanti l’evolversi dei lavori e delle ricerche geologiche intraprese si devono soprattutto ai ricordi dei compaesani ed agli appunti meticolosi riportati da Sonna Remo nel libro "Comàsine in Val di Peio - Ricordi, annotazioni e riflessioni sui principali eventi di Comasine dal 1853 al 1981".

Tra il 1920 e il 1921 furono fatti dei sondaggi in diversi punti della montagna di Comasine "precisamente nelle località Staviôn, Vasi, Garzané, ecc. Dette indagini durarono poco più di un anno e seguirono per qualche tratto le vecchie gallerie. [...] Detta società praticò contemporaneamente delle indagini nella valle sovrastante il paese di Celledizzo. Neanche queste soddisfecero le esigenze dei ricercatori."

Nel 1937 cominciarono diversi nuovi sondaggi guidati dall’ingegnere Tschurtschenthaler della Impresa Pallaoro di Trento, in varie località furono eseguiti numerosi scavi detti "provini" consistenti in "buche di circa m 0,60 x 2 x 2 più o meno conformi la pendenza del monte e distanti tra loro 3-4 metri."

Secondo quanto riportato da Sonna Remo i "provini magnetometrici" vennero eseguiti anche in Valcomasine e verso il Còrno Boài come pure verso la Vegàja sulla montagna di Cellentino, con tentati esperimenti anche verso Rabbi. "Il numero di operai raggiunse in estate il massimo di circa 300. Diverse spedizioni di materiale grezzo effettuate a forni di fusione anche in Germania diedero buon risultato."

A fine agosto 1938 i lavori vennero visitati dal Ministro delle Corporazioni, l'onorevole Lentini. A tale epoca, lo sviluppo totale delle gallerie aperte ammontava a 1.200 metri, ma a metà novembre 1938 si verificarono dei cambiamenti nella società finanziaria e ne conseguì il licenziamento di buona parte del personale.

Nella primavera del 1939 venne condotta una linea elettrica ad alta tensione fino alle gallerie 4 e 5 e di lì a bassa tensione fino alla 15. In autunno venne portata anche in Garzané dove nel 1940, grazie a nuovi sondaggi effettuati con sonde moderne che potevano raggiungere i 500 metri di profondità, venne individuata una "vena" dello spessore di oltre 4 metri.

Seconda guerra mondiale

Nell'autunno del 1940 si fecero i preparativi per la costruzione della teleferica per il trasporto del minerale dal piazzale ricavato davanti alla galleria n. 4 fino in località "Valéne" sul fondovalle presso la strada principale ed il bivio per Comasine. Ove attualmente esiste una moderna azienda agricola, venne costruita una grande tramoggia di raccolta del minerale. Il tutto venne ultimato nell’estate 1941 causa ritardi dovuti alla mancanza di materiali necessari come il cemento, non facilmente reperibili in tempo di guerra: le funi e tutto il resto del materiale utilizzato per la teleferica era di marca inglese.

Con alti e bassi, come l'andamento della politica e della guerra, anche il lavoro delle miniere continuò durante il 1942 e 1943. Diversi militari di Comasine e dei paesi vicini vennero richiamati dal loro servizio per lavorare alle dipendenze dell'esercito come minatori. In seguito agli avvenimenti dell’8 settembre 1943, non ci fu più un'organizzazione a capo delle attività d'estrazione, in autunno erano ancora aperte le miniere fra Pradolìn e Prà di Cöi nelle quali si trovarono diverse forti venature di ferro e qualche blocco possibile di essere circoscritto e quindi valutato. A fine ottobre però anche queste furono chiuse e molti operai dovettero trovare altra occupazione.

Il secondo dopoguerra

Nel 1949 vi fu la demolizione di tutti i baraccamenti della Società "La Comasine", tanto sulla zona di Comasine che sulla zona di Cellentino. Le teleferiche per il trasporto del minerale furono smontate nel 1952, rimasero solo gli appoggi in legno e le due stazioni con fabbricato adiacente alla stazione inferiore.

Nel settembre del 1952 tuttavia il materiale ferroso che ancora rimaneva presso lo stradone fu condotto a diversi forni di fusione in Piemonte e la nuova Società "Metallurgica Luciano Rumi" di Bergamo acquistò del legname sopra la Malga alta e con 6 operai di Comasine presso l'imbocco della galleria in Garzané venne piazzata una sega verticale azionata da motore a scoppio.

Nel 1953 la "Società Rumi" costruì una nuova teleferica collegando le località Valene-Staviôn–Garzané e demolita la casetta presso la stazione a valle, la rifece in ferro e masonite. Ripresero anche i lavori d'estrazione con circa 20 operai quasi tutti di Comasine. Oltre alle gallerie di Staviôn e Garzané, si riaprì anche la "San Cesare" sul versante di Cellentino.

Il lavoro minerario continua con una certa intensità fino al 1960. Nella zona di Garzané c’è ancora molta attività d'estrazione e il minerale viene mandato alle fonderie. La teleferica che lo conduce alle Valéne funziona discretamente bene e il servizio trasporto maestranze viene effettuato a mezzo di una potente jeep. Nella galleria sul versante di Cellentino il lavoro venne invece sospeso malgrado fosse stata sistemata una teleferica per il trasporto del materiale alla stazione a valle.

Dopo il 1960 i lavori si trascinarono avanti sempre più stancamente, probabilmente erano tenuti aperti i cantieri solo per avere i contributi come ricerche. Nel 1967 la "Società Rumi" decise di rinunciare alla concessione ricerche e chiuse l'attività mineraria. Davanti all'imbocco della galleria sul versante di Cellentino rimangono tutt'oggi diverse centinaia di metri cubi di minerale ferroso e più di duemila metri cubi sul piazzale adiacente la galleria n. 5 a Staviôn.

Prima di andarsene la "Rumi" regalò alla Chiesa parrocchiale di Comasine tutto quanto era attinente l'impianto teleferiche. Il ricavato della demolizione e della vendita del materiale di recupero consentì all'allora Parroco Don Bruno Andreis d'imbarcarsi nella non indifferente spesa necessaria per ristrutturare e rimodernare la Chiesa parrocchiale di Comasine adeguandola alle normative conciliari.

application/pdf Appunti storici riguardanti le miniere di Comasine (663.7 kB)

Incontri e serate informative sul tema con relatore Sonna Romano

09/2010 - Conferenza sulle "Miniere di Comasine"

08/2014 - La Famiglia Matteotti e le miniere di ferro di Comasine